QUANDO IL FARMACISTA DIVENTA UN FARO:
PERCHÉ L’ITALIA DEVE SFIDARE LE REGOLE
PER SALVARE IL SISTEMA SANITARIO
C’è un paese, oltre l’oceano, dove in un villaggio senza medici l’unica farmacia è presidiata da una donna che non solo prepara terapie, ma le prescrive. Ascolta un bambino con la tosse, controlla la gola con una torcia, e decide se servono antibiotici o solo riposo. Non è un’eroina da film: è una farmacista canadese. E quella che sembra un’eccezione, in realtà, è una rivoluzione che sta prendendo piede dal Regno Unito all’Australia.
In Italia, invece, ancora discutiamo se sia giusto permettere ai #farmacisti di prescrivere un antinfiammatorio. Eppure, mentre i nostri medici di base sono sommersi di richieste e i pronto soccorso intasati, c’è una domanda che urge: perché non sfruttare il potenziale di 18.000 farmacisti per alleggerire il sistema?
La risposta arriva da chi l’ha già fatto. In Inghilterra, dal 2006, i farmacisti possono prescrivere farmaci per patologie minori (dalle infezioni urinarie alle dermatiti), dopo un corso intensivo.
Risultato?
Il 40% delle visite dal medico di base evitate, e pazienti soddisfatti perché risolvono il problema mentre comprano il pane. In Nuova Zelanda, nelle zone rurali, i farmacisti gestiscono terapie croniche come il diabete, aggiornando i dosaggi senza costringere gli anziani a viaggi di ore.
Ma come funziona, nella pratica? Sarah, una farmacista di Bristol, mi ha raccontato di aver visitato un uomo con un eritema sospetto. «Ho prescritto una crema cortisonica, ma gli ho detto di tornare se non migliorava in due giorni. L’ho anche sensibilizzato sull’uso di detergenti delicati. Il medico, poi, ha approvato la mia scelta». Non si tratta di sostituire i dottori, ma di collaborare.
E in Italia? Siamo il paese dei paradossi.
Un farmacista sa riconoscere un’infezione da fungo, ma per prescrivere una pomada deve mandare il paziente a spendere 50 euro da un dermatologo privato. Conosce alla perfezione le interazioni tra farmaci, ma non può modificare un dosaggio se il paziente fatica a respirare.
Qualcuno obietta: «Ma i farmacisti non hanno competenze cliniche!». È vero, oggi. Ma il problema non è il “cosa”, il problema è il “come”. In Canada, per diventare farmacista prescrittore, serve un master di due anni con tirocinio su diagnosi differenziali. Si impara a visitare, a fare anamnesi, a distinguere un mal di testa banale da un sintomo di emicrania cronica. È una formazione rigorosa, che trasforma il farmacista in un esperto di primo contatto.
Il vantaggio per l’Italia? Enorme.
Pensate alle aree interne, ai paesi dove l’ultimo medico è andato in pensione nel 2015. O alle città, dove i giovani medici fuggono dal servizio pubblico. Un farmacista formato potrebbe:
– Prescrivere terapie per patologie minori, liberando i medici per casi complessi.
– Aggiustare dosaggi di farmaci cronici (es. ipertensione) sotto protocolli concordati.
– Fare educazione su antibiotici, riducendo i resistenza batterica.
C’è anche un risvolto umano, spesso dimenticato. Maria, 78 anni di un paesino abruzzese, ogni mese deve prendere due autobus per farsi rinnovare la ricetta del betabloccante. «Se il dottore è in ferie, salto la dose e mi viene l’ansia», mi ha confessato. Un farmacista prescrittore le cambierebbe la vita.
Certo, serve cautela. Servono protocolli chiari, formazione obbligatoria, e un sistema informatico che colleghi farmacie e medici. Ma il primo passo è culturale: smettere di vedere i farmacisti come commercianti, e iniziare a vederli come professionisti sanitari a pieno titolo.
La paura? Che aumentino conflitti d’interesse.
Ma in Svizzera, dove i farmacisti prescrivono da anni, studi mostrano che le prescrizioni sono più conservative di quelle dei medici, perché il farmacista tende a privilegiare terapie essenziali.
Il momento è ora. Con il PNRR che punta sulla telemedicina e sulle Case della Comunità, inserire i farmacisti prescrittori nel modello sarebbe un atto di giustizia sociale e di buon senso. Perché in un sistema sanitario che affonda, non possiamo permetterci di lasciare remare solo i medici.
Perché a volte, per salvare un sistema, bisogna avere il coraggio di riscriverne le regole.
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